Il dibattito sugli F-35 infuria e continuerà ad infuriare nelle prossime ore fino al voto al Senato previsto per questa settimana (a meno che non slitti a causa anche delle difficoltà all’interno del PD di trovare una posizione comune).
Con “comitati no F-35” che crescono come funghi, marce notturne nei luoghi dove verranno assemblati i futuri aerei, cortei pacifisti nelle città, partiti politici che si dichiarano nettamente contro (un pò per convinzione un pò forse per l’ebbrezza di “sparare” sempre e comunque contro qualsiasi cosa fatta da questo governo), il discorso prende sempre più la forma della classica alternativa tra burro e cannoni. Chi si oppone lo fa infatti anche utilizzando i soliti argomenti: con 13 miliardi si aprirebbero nuovi ospedali, si creerebbero posti di lavoro, etc.
Il problema è che, come per tutte le cose che riguardano la difesa, il discorso è piu’ complesso. L’alternativa tra burro o cannoni infatti non è mai stata una vera alternativa, perchè – a meno di un disarmo definitivo e simultaneo di tutti gli stati del mondo che non si vede all’orizzonte – purtroppo servono tutti e due. Il problema è decidere quanto serve di uno e quanto dell’altro e di usare i fondi destinati ai cannoni nel modo più oculato ed efficiente possibile tenuto conto degli obiettivi.
Non pretendiamo di entrare nei dettagli di un progetto che si trascina ormai da piu’ di 10 anni, ma vorremmo far notare solo alcune cose:
– L’Italia ha aderito al progetto di sviluppo come partner di livello 2, finanziando lo sviluppo di questo nuovo cacciabombardiere per l’importo di un miliardo di dollari (a fronte di svariate decine di miliardi di costo totale). L’Italia non è stato l’unico paese alleato degli USA a finanziare il progetto e ad impegnarsi ad acquistare un certo numero di aerei. Danimarca, Olanda, Canada, Australia, Regno Unito, Turchia ed altri paesi vi partecipano.
– Vari esperti di difesa anche super partes (cioè non dipendenti del Ministero della Difesa) con cui ho potuto discutere mi hanno fatto notare come negli ultimi 15 anni l’Italia – con l’eccezione degli Eurofighters Typhoon che però hanno un utilizzo più limitato degli F-35 – non abbia proceduto ad ammordernare la propria flotta di aerei da combattimento, molti dei quali, non dimentichiamoci, vanno avanti comunque con pezzi di ricambio americani. Nè ha avviato programmi di sviluppo alternativi come per esempio ha fatto, con tutti gli alti e bassi, la Francia con il programma Rafale. Se questa sia stata la scelta giusta o sbagliata è difficile dirlo. Forse l’Italia avrebbe dovuto puntare di più sul programma Eurofighter? Le opinioni sono diverse, ma sembra prevalere quella che l’Eurofighter Typhoon nella versione attuale abbia funzioni limitate alla difesa aerea, mentre l’F-35 e’ un caccia più versatile e innovativo che almeno nelle intenzioni dei progettatori potrebbe coprire le funzioni di almeno 2 o 3 tipi di caccia esistenti.
– Indipendentemente dalla correttezza della scelta operata molti anni fa di legarsi allo sviluppo del nuovo caccia americano, secondo molti esperti uscire dal programma ora avrebbe varie conseguenze di non poco conto: in primis, avremmo buttato a mare qualche miliardo di spese di sviluppo, spese di costruzione dei cantieri dove gli F-35 verranno assemblati, penali etc. Se poi questi cantieri e gli aeroporti che dovevano ospitare gli aerei non serviranno più, andremmo ad ingrossare ulteriormente le file dei disoccupati a meno di non riconvertirli alla produzione di altri velivoli (ma non sembra esistere ancora un “piano B” in questa fase). In secundis, resterebbe il problema di sviluppare un aereo adatto a colmare le lacune nell’aviazione militare italiana. Quindi, si spenderebbero comunque dei soldi (se più o meno di quelli spesi e da spendere per gli F-35 è difficile dirlo perchè nessuno ha fatto stime attendibili e convalidate). Infine, le conseguenze in termini di rapporti con l’alleato americano non sarebbero da sottovalutare e questo è un discorso che se si ragionasse solo per un momento in termini di real politik può destare preoccupazioni.
– Tuttavia, è vero che il programma F-35 è stato tormentato per molti anni da ritardi, da errori (la stessa Lockheed Martin è stata criticata in passato dal Pentagono). Molti dei partners occidentali del programma – non solo l’Italia – hanno espresso malumori e preoccupazioni per questi problemi. La domanda quindi è: possiamo fidarci ciecamente delle “rassicurazioni” che riceviamo e ovviamente continueremo a ricevere dagli americani sullo stato di avanzamento del progetto e sul fatto che nel 2015 o 2016 avremo veramente 90 di questi “gioielli” funzionanti nei nostri aeroporti? Non direi. Non per sfiducia negli americani, ma perchè quando ci sono cifre del genere in gioco è meglio controllare, soprattutto per evitare che la spirale d’incremento dei costi superi ciò che è ragionevole. In altre parole “it’s business, it’s not personal”.
E allora la strada da percorrere sembra un po’ piu’ chiara:
– Nel breve termine: procedere con il programma visto che almeno allo stato attuale le chances che arrivi a completamento sembrano essere superiori a quelle che si blocchi; richiedere però il diritto di controllare seriamente, da dentro, lo stato di avanzamento dei lavori. E non ci si venga a parlare di sicurezza nazionale, etc. Tra partners, queste remore non dovrebbero esistere, altrimenti non si è partners. Magari, per avere un pò più di voce in capitolo, si potrebbe concordare un piano d’azione con gli altri partners europei prima e poi extra europei che partecipano al progetto e adottare una posizione comune, soprattutto sul discorso dei costi. Fino ad ora, ognuno è andato un pò per conto suo, come al solito.
– Nel medio termine (nemmeno tanto lungo visto che ci sarà un summit a dicembre), dare una spinta decisiva a quell’integrazione della difesa europea che è l’unica soluzione che può permettere un notevole risparmio collettivo sulle spese di difesa ed un rafforzamento dell’indipendenza dell’Europa in tema di armamenti.
E’ assurdo che si continui ad avere cinque programmi di sviluppo per kit di fanteria contro uno solo negli USA, 7 programmi di missili antinave (contro uno negli USA) e 4 programmi di carri armati (contro uno negli USA). E’ assurdo anche che in Europa si abbiano quasi due milioni di uomini sotto le armi di cui solo 70,000 pronti a partire per missioni all’estero. Il progetto Eurofigher è stato un buon esempio di collaborazione, peccato però che i francesi se ne siano tenuti fuori. Gli ostacoli principali verso l’integrazione del sistema di difesa europeo finora non sono stati certo frapposti dagli USA, ma dai quattro principali attori europei: Regno Unito, Francia, Germania e Italia. Cerchiamo, anche in questo, di superare arcaici e pericolosi nazionalismi. O ne pagheremo le conseguenze, tutti.
Il punto più interessante evidenziato nell’articolo, e su cui sono totalmente concorde, è l’assurdità dell’idea di alternativa tra burro e cannoni. “Servono tutti e due”, si dice giustamente. Ma è proprio questo il problema: le masse non hanno nessuna idea del funzionamento reale della politica internazionale in senso lato, e dunque nemmeno della necessità di una difesa in senso stretto. La maggior parte delle persone considera la pace eterna e scontata, dunque concepisce le forze armate come “assolutamente inutili” (è il commento che sento dire piú spesso). In quest’ottica qualsiasi spesa militare diventa ingiustificata.
È una questione che, al di là degli F35, andrà prima o poi affrontata -se necessario con robuste campagne di educazione alla geopolitica. L’alternativa al non voler avere uno strumento militare adeguato di solito è -stoicamente- lo svegliarsi il giorno di un conflitto non previsto e non voluto soltanto per realizzare che non si hanno i mezzi per sopravvivere ad esso.