Giovedì scorso, la Capitale ha riunito volti noti per l’EastForum, convegno dell’omonimo centro studi organizzato in tandem con il Consiglio Europeo. L’Europa e la crisi è stato il tema dell’incontro che si è tenuto nella Sala Promoteca del Campidoglio. Prodi; Amato; Bonino; Verhofstadt; Squinzi;Marcegaglia sono stati alcuni dei protagonisti che si sono pronunciati sull’Europa attuale e futura.
Il confronto è consistito quindi in un caloroso dibattito tra europeisti, le cui uniche eccezioni sono state il presidente ceco Vàclav Klaus e in un certo senso anche Franco Debenedetti.
Nel processo di integrazione sono stati commessi errori di impostazione che è necessario correggere: questa l’idea di Guy Verhofstadt e Sylvie Goulard, membri del Parlamento Europeo e dello Spinelli Group.
Al presidente ceco Klaus convinto che il sistema Europa “non funziona.. e che “crede ancora in un’idea imperialistica e retrograda”, Verhofstadt, membro del Parlamento Europeo ha risposto che “è stato un errore aver iniziato l’integrazione europea con la moneta unica(..)va creata.. l’Unione fiscale e poi quella politica(..) con la certezza dell’appoggio delle banche”.
Giuliano Amato, altro filoeuropeista ha riconosciuto che “ci sono stati errori organizzativi attorno alla moneta unica” e (..)“non sono stati predisposti strumenti anticiclici per contrastare eventi ciclici”. Serve quindi sì “più Europa”, ma un’Europa più snella e lontana dall’attuale sistema di “simildemocrazia parlamentare”. Mentre Romano Prodi e’ arrivato a proporre di opporre alla Germania un’alternativa credibile: “un gruppo di paesi formati da Italia, Francia e Spagna, con la probabile aggiunta di altri partner dell’Europa meridionale, capace di presentare una piattaforma di crescita economica non cialtrona”.
Emozionante infine il discorso di Emma Bonino che ha indicato la strada verso un federalismo “leggero”, adeguato alla situazione europea, al quale affidare un limitato numero di politiche: “estera, economica e finanziaria, di difesa e pochissime altre”. Insomma, una serie di appelli a procedere attraverso un processo di unificazione politica che adotti l’unico modello possibile tenendo conto delle differenze che esistono ancora all’interno di un continente complesso come quello europeo: il modello federale.
In unisono perfetto con l’iniziativa, la Bertelsmann Stiftung, insieme a Rand Europa, pubblicavano lo stesso giorno il rapporto sui benefici economici delle politiche comuni UE, sia quelli esistenti che quelli, ben più succosi, che potrebbero derivare da una maggiore integrazione per esempio della diplomazia e della difesa. Insomma, non ci sono solo vantaggi politici ad una maggiore integrazione (purchè, aggiungerei, realizzata in forma di federazione), ma anche notevoli vantaggi economici.
Ma allora, se quasi tutti i relatori e partecipanti all’EastForum, tutti per altro “pesi massimi” ed influenti sembrano essere d’accordo sui benefici di una federazione e se istituzioni prestigiose ci dicono che ci sarebbe anche una convenienza economica, perchè non abbiamo ancora raggiunto l’obiettivo? La risposta è ovvia, secondo molti dei relatori: mancano leader politici che possano vedere oltre il proprio naso e “guidare” (leader viene da ‘to lead’) l’opinione pubblica, ragionare, spiegare. Mancano i Robert Schuman, i Jean Monnet, gli Altiero Spinelli, gli Helmut Kohl. Mentre abbondano i politici che non riescono a guardare oltre i confini nazionali, terrorizzati dai sondaggi d’opinione, e a cui a volte non dispiace gettare benzina sul fuoco nazionalista e sovranista.
E perchè mancano? La spiegazione la dà quell’elefante che era seduto in mezzo alla Sala Promoteca, ma che nessuno riusciva a vedere o che molti facevano finta di non vedere: i partiti politici e la stampa nazionale. Gli uomini politici in tutti i paesi UE fanno parte di partiti politici che sono organizzati nella quasi totalità su basi esclusivamente nazionali. La nazione e gli elettori della stessa sono l’unico loro referente, l’unica loro preoccupazione, non ce n’è altra. Raramente si coordinano con i partiti della nazione a fianco e senz’altro non si sforzano di creare programmi comuni. La stampa poi, in quasi tutti i paesi, funziona come cassa di risonanza di questo sistema: indicate un giornale italiano o francese o tedesco che mette in prima pagina quello che è successo al parlamento europeo il giorno prima o che cosa è stato deciso in Commissione, anche se estremamente rilevante per tutti i cittadini europei. Non esiste.
L’unica attenzione, peraltro sporadica, è agli occasionali “summit” dei capi di stato. E mentre i summit dei capi di stato che fanno parte dell’Eurozona o del Consiglio Europeo sono quanto di più deleterio per la ricerca e la definizione di un interesse comune europeo e sono i colpevoli di aver privato l’Europa delle regole che gli servivano, l’uomo politico e il suo partito aprono le pagine di Repubblica, del Corriere o guardano Ballaro’ o i loro equivalenti nel resto d’Europa e si convincono che sono queste le uniche cose che contano: partecipare a questi incontri come se fossero un incontro di calcio e cercare di vincere. Portare a casa qualcosa, qualsiasi cosa.
E se si perde, accusare l’arbitro. Cosa ce ne importa poi se il sistema intergovernativo significa in molti casi che vince il più forte o anche chi più riesce a minacciare gli altri di un disastro imminente? Quante volte in Italia vediamo i giornali e sentiamo i giornalisti televisivi, dire che “bisogna chiedere all’Europa”, “bisogna pretendere dall’Europa”? Come se tutti noi, compresi i politici non fossimo GIA’ in Europa, non fossimo parte dell’Europa.
Ecco il vero elefante nella stanza, ingombrante, soffocante, che blocca la strada: i partiti politici organizzati su basi nazionali e la stampa che li segue e li alimenta. Se non superiamo questi due ostacoli non arriveremo mai a destinazione.
Accompagniamolo con qualche spintone deciso da un’altra parte, questo elefante. In un museo, magari. A Roma, a Parigi e a Berlino ce ne sono tanti.
(Renata Gravina ha contribuito a questo articolo)
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