Questo e’ il primo di una serie di articoli che voglio dedicare alla Germania in vista delle importanti elezioni del settembre 2013. Premetto che, da eurofederalista convinto, sono dispaciuto del fatto che dalle elezioni in un solo Paese possa dipendere il destino dell’Europa. Senz’altro l’esistenza degli Stati Uniti non e’ messa in discussione dalle elezioni in California o quella dell’India dalle elezioni in Karnataka. Ma in Europa cosi’ e’, purtroppo, visto che la federazione non esiste ancora. Tuttavia, l’importanza di queste elezioni sembra essere sottovalutata dai nostri media i quali, preoccupati forse della tenuta del governo italiano, ne parlano poco o niente. Eppure, le elezioni tedesche di settembre sono in questo senso un vero spartiacque. Ci sara’ l’Unione Europea prima delle elezioni tedesche e quella DOPO le elezioni tedesche. Nel nostro piccolo, cerchiamo di supplire a questa carenza che rischia di confondere gli italiani su quale sia effettivamente la posta in gioco e quale sia il vero “nemico”, ammesso ve ne sia uno.
Capitolo 1 – La leggenda del complotto tedesco
Viaggio in Germania, per lavoro o per turismo, da circa 25 anni e annovero tra i miei migliori amici non pochi cittadini della “parte tedesca dell’Europa”, come ci piace chiamarla all’interno del nostro Partito Federalista Europeo.
Devo dire che ho sempre fatto fatica a identificare questi colleghi e amici, spesso quarantenni come me, con quei mostri insensibili ed egoisti che alcuni politici o pseudopolitici italiani vogliono venderci. Cosi’ come ho sempre trovato disgustosamente fuori luogo i cartelli esibiti sulle piazze greche che dipingevano Angela Merkel con dei baffetti da Hitler. Una vergogna.
I tedeschi che conosco mi sono invece sembrati sempre persone alle prese piu’ o meno con gli stessi problemi di tutti gli altri cittadini europei: il lavoro, educare i figli, risparmiare per eventualmente comprarsi una casa (il 58 percento delle famiglie tedesche non ne ha una di proprieta’). E, sebbene l’economia abbia ancora parecchie marce in piu’ rispetto a quelle dei vicini europei, i tedeschi che conosco mi sembrano anche tutti sinceramente preoccupati dei possibili effetti di un tracollo dell’intera economia europea e consapevoli che prima o poi, volenti o nolenti, saranno loro a dover in qualche modo “metter mano al portafogli”. E questo li disturba, e non poco.
Non dovrebbe?
C’e’ un aspetto che forse sfugge a molti e che nel momento in cui si smette di pensare alla “Germania” come entita’ o al governo Merkel e si scende al livello del singolo cittadino appare piu’ chiaro. Dal punto di vista del singolo cittadino alle prese con i problemi quotidiani ed un futuro non indubbiamente roseo, dover pagare piu’ tasse per supplire a squilibri che egli ritiene siano stati creati da altri paesi e’ ovvio che possa dare fastidio, soprattutto dopo che perlomeno i cittadini della ex Germania Ovest hanno in pratica ricostruito la Germania Est a suon di marchi prima e di euro dopo. Ovviamente, tutti sappiamo che in alcuni paesi il debito (privato in Spagna, pubblico in Grecia) e’ cresciuto anche perche’ c’erano creditori disposti a prestare e molti di questi creditori hanno la loro sede in qualche grattacielo a Francoforte. Tuttavia, al singolo cittadino non viene spiegato che deve salvare (indirettamente) la propria banca, ma che deve salvare la Spagna o la Grecia per problemi creati da Spagna e Grecia. Ora, anche ipotizzando che il cittadino sia disposto a salvare indirettamente la propria banca (dopo tutti i “salvataggi” gia’ avvenuti), mettetevi per un momento nei panni di una famiglia tedesca media e decidete se vorreste un ulteriore aumento delle imposte sui redditi – il che vi costringe magari a posticipare l’acquisto di un automobile – per fornire fondi a paesi in cui una parte dei cittadini si rifiuta di pagare le tasse e poi compra proprieta’ a Londra o Berlino oppure, appunto, una bella Audi o Mercedes nuova. Come minimo storcereste il naso, come minimo.
Detto cio’, ho comunque captato – soprattutto tra alcuni amici di Monaco a dire il vero – un atteggiamento simile a quella stessa “hybris” (che si puo’ tradurre in orgoglio o tracotanza) che ho sperimentato negli ultimi anni della mia permanenza in Cina tra la classe media cinese: ovvero la convinzione di aver fatto tutte le cose giuste – dal punto di vista economico perlomeno – e che quindi il proprio modello sia il migliore dei modelli possibili. E che tutti gli altri stanno sbagliando.
E questo, semplicemente, non e’ giusto.
Tuttavia, visto che ritengo buona prassi guardare sempre prima in casa propria e poi criticare gli altri, devo confessare che mentre e’ stato sempre facile contrastare la hybris cinese dimostrando facilmente l’insostenibilita’ di un sistema politico autoritario sostenuto da un capitalismo di stato rampante e che ancora ostacola di fatto l’iniziativa privata e la liberta’ di espressione, mi e’ sempre risultato piu’ difficile invece – guardando all’Italia – trovare pecche nel modello tedesco. E quindi smorzare un po’ questi sentimenti di “hybris” , che peraltro come detto sopra non sono generalizzati. D’altra parte, l’economia tedesca cresce, l’intero paese e’ una macchina da export come nessun’ altra, la disoccupazione e’ tra le piu’ basse in Europa (la media nazionale e’ ben sotto il 10%), i servizi pubblici funzionano, il Paese e’ all’avanguardia nell’uso e sviluppo di energie rinnovabili, etc.etc. Se si pensa che fino al 2003/2004 la Germania veniva definita “il malato d’Europa” mi e’ sempre stato difficile dare torto a chi tra i nostri cugini tedeschi pensi che sia sufficiente imitare le loro riforme degli ultimi 10 anni per risolvere tutti i nostri problemi (non solo nostri, ma anche quelli spagnoli, portoghesi o francesi). E lo pensano in molti.
Di recente, pero’ mi sono venuti in soccorso un bel libro scritto da Ulrich Beck (“L’Europa Tedesca”-Laterza), un fantastico inserto dell’Economist (“Europe’s Reluctant Hegemon”) e infine uno studio di Sebastien Dullien, economista tedesco, pubblicato dallo European Council for Foreign Relations un mese fa.
Ebbene, senza tediarvi, le conclusioni raggiunte da questi studi sono che le famose riforme Agenda 2010 adottate dal governo Schroeder e che sarebbero dietro il miracolo economico degli anni scorsi hanno beneficiato di una particolare congiuntura economica venutasi a creare dal 2005-6 in poi, ovvero il fatto che proprio mentre gli effetti della crescita dei BRICs si materializzavano, la Germania si e’ trovata (ovviamente, per deliberata scelta di strategia industriale che risale a decenni prima) a produrre esattamente quei tipi di beni ad alta tecnologia di cui i piu’ dinamici BRICs come Cina e India sembrano avere una fame senza fine (l’export tedesco verso la Cina per esempio e’ quintuplicato nel giro di un decennio a partire dal 2003). Allo stesso tempo le esportazioni dai BRICs hanno danneggiato solo in minima parte l’industria tedesca (al contrario, quelle italiana e spagnola si sono trovata direttamente sotto il fuoco di tiro dell’industria leggera cinese). Inoltre, geograficamente la Germania si trova vicina a quei paesi dell’Est il cui ingresso nella UE nel 2005/2006 ha avvantaggiato la delocalizzazione della componentistica a servizio dell’industria tedesca.
Ovviamente, la Germania avrebbe potuto sprecare questa occasione ignorando l’opportunita’ offerta dai BRICs e dai nuovi membri della UE, penalizzando la propria industria con aumenti progressivi del costo del lavoro e avrebbe potuto anche disinteressarsi di quella enorme struttura statale e finanziaria di supporto all’export e all’investimento estero. Magari avrebbe potuto anche creare crisi di governo ogni 6 mesi. Ma ha fatto esattamente il contrario e quindi ne ha tratto profitto. Per questo, tanto di cappello. Senz’altro da imitare.
Tuttavia, la parte delle riforme piu’ sbandierata dai sostentiori (le riforme in tema di lavoro) non ha avuto effetto di rendere piu’ facili i licenziamenti come si puo’ pensare, ma ha avuto quello di abbassare il costo del lavoro soprattutto attraverso una sostanziale liberalizzazione del meccanismo di determinazione dei salari. Con il risultato pero’ che gli stipendi pagati per alcuni tipi di lavoro in Germania sono veramente bassi. In altre parole, il tasso di disoccupazione tra i giovani e’ molto basso, ma i salari pagati anche sono spesso molto bassi (certo, sempre meglio di zero…). E cio’ non ha fatto che aumentare la forbice tra i piu’ e meno abbienti. Questo sta portando ad una contrazione della classe media simile a quella che e’ avvenuta (in maniera piu’ significativa) in Italia. E la classe media tedesca quindi ha paura per il proprio futuro. La Germania poi soffre della stessa malattia di altri paesi europei: una popolazione che invecchia e le cui pensioni pesano sempre di piu’ sul bilancio statale. Il Paese ha poi un surplus della bilancia dei pagamenti che denota una scarsa propensione al consumo interno. Infine, c’e’ da ricordare – come fa l’Economist con una “frecciatina” alla Merkel – che le riforme piu’ dure dell’Agenda 2010 sono avvenute proprio quando la Germania ha “sforato” il limite del 3% nel disavanzo pubblico imposto da Maastricht. Quindi, il governo Schroeder ha dato priorita’ alle riforme piuttosto che al consolidamento fiscale.
Ora, se l’Agenda 2010 fosse state presa e trapiantata, sic et simpliciter, nell’Italia o nella Spagna di sei o sette anni fa, avrebbe forse avuto effetti benefici per questi paesi. Farlo oggi pero’ potrebbe comportare effetti ulteriormente deflazionistici di queste economie che potrebbero peggiorare la situazione.
Insomma, non tutte le riforme tedesche degli ultimi 10 anni possono essere adottate nello scenario attuale dei Paesi UE che si trovano piu’ in difficolta’. In un certo senso, secondo Dullien, erano riforme che potevano funzionare in un solo Paese.
Esistono ovviamente pero’ decine di altri esempi di politiche che potrebbero essere adottate con benefici notevoli per paesi come l’Italia. Per esempio, una riduzione del costo del lavoro attraverso la riduzione del cuneo fiscale (piu’ che dei salari). E poi i contratti di apprendistato, che consentono ai giovani di imparare un lavoro mentre studiano, di cui esempi gia’ esistono in Italia, ma che in Germania hanno accompagnato tanti giovani nel mondo del lavoro direttamente dalla scuola.
Ma esistono anche caratteristiche del modello tedesco, forse piu’ importanti (basso tasso di corruzione, basso tasso di evasione fiscale, forte trasparenza amministrativa, un sindacato abituato anche a prendere decisioni contrarie ai propri interessi in quanto partecipa alla gestione delle aziende) che non sarebbe male imitare, ma che richiedono mutamenti che vanno ben oltre semplici riforme legislative e hanno bisogno di un’evoluzione in senso culturale che puo’ richiedere anni se non decenni.
Contrariamente a quei pericolosi commentatori (l’ultimo su Linkiesta di qualche giorno fa) che ritengono che alla Germania faccia comodo che l’Italia resti in questa situazione in modo da vincere la guerra persa 70 anni fa (assurdo!!!), ritengo, invece, che la maggior parte dei nostri cugini tedeschi vorrebbe sinceramente che in Italia ci fosse meno corruzione, meno evasione, piu’ stabilita’ politica, piu’ disciplina e trasparenza nelle commesse pubbliche, meno “arruffapopolo” tra i politici, piu’ investimenti in ricerca e sviluppo, piu’ certezza del diritto. Anche perche’ ne beneficerebbero le loro stesse aziende presenti in Italia e renderebbero anche piu’ solida l’Eurozona.
A mio avviso sarebbe sufficiente dimostrare di lavorare SERIAMENTE per raggiungere questi obiettivi, che tra parentesi farebbero bene anche agli italiani stessi indipendentemente dalla loro appartenenza all’Eurozona. Ma i nostri amici tedeschi vorrebbero che l’Italia cambiasse domani (meglio, ieri), mentre tutti noi sappiamo che cio’ non e’ possibile anche perche’ chiunque riuscisse veramente ad imporre queste riforme contro gli interessi costituiti probabilmente ne pagherebbe le conseguenze politiche (proprio come e’ capitato a Schroeder in Germania).
L’Eurozona si puo’ paragonare ormai ad un condominio, con tutti i vantaggi e le difficolta’ che questo comporta. Per quanto io inquilino del secondo piano lo voglia non riusciro’ mai a cambiare le abitudini di quello del terzo. Pero’ posso scendere a compromessi con lui attraverso regolamenti condominiali: ridurre il volume della TV, stare piu’ attento a dove si gettano i rifiuti se c’e’ la raccolta differenziata, non tollerare alcuna morosita’ nel pagamento delle spese condominiali, chiudere sempre il portone per evitare che entrino criminali e questo perche’ altrimenti rende impossibile o piu’ costosa la vita a me e agli altri. Ma se poi l’inquilino ha un appartamento disordinato, gli piace cucinare il curry e non paga il canone TV, c’e’ poco che io inquilino del secondo piano possa (o debba) fare. In altre parole, anche da parte dei cittadini tedeschi deve crescere quella consapevolezza che una delle forze dell’Europa e’ stata la sua diversita’ e che certe diversita’ vanno accettate come parte della nostra ricchezza. Allo stesso tempo e’ necessario semplicemente stilare delle regole – poche, semplici – che impediscano che un paese renda la vita impossibile all’altro. E in questo sono necessari compromessi da parte di tutti i condomini.
In che misura i partiti politici tedeschi che si contenderanno i seggi del Bundestag abbiano compreso che le regole del condominio europeo non possono essere dettate da un solo inquilino sara’ oggetto del prossimo capitolo.
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