Dobbiamo allora augurarci una dittatura?

Il fondo di Carlo Bastasin sul Sole 24 Ore di ieri (“La Partita di Washington e l’Occidente”) coglie nel segno perche’ evidenzia un problema che dovrebbe stare molto a cuore a noi cittadini dell'”Occidente”: l’abilita’ delle democrazie occidentali di continuare a offrire sviluppo economico e benessere ai propri cittadini.

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La questione e’ molto ampia, ma sostanzialmente puo’ essere sintetizzata come segue:

– considerato il relativo declino economico dell’Occidente e le difficolta’ enormi di ripresa,

– considerato lo spettacolo deprimente di un Congresso americano bloccato da una “fronda” repubblicana, che ha gia’ portato allo “shut down” dell’amministrazione USA e rischia di portare ad un default che affonderebbe l’economia mondiale,

– considerata un’Europa in cui molti partiti, sia di destra che di sinistra, si rifiutano di spiegare ai cittadini – per paura di perdere voti – che il tempo della sovranita’ nazionale assoluta e’ venuto meno da un pezzo e non tornera’ mai piu’,

– considerato lo spettacolo penoso di un parlamento e governo italiani bloccati da 10 anni da veti incrociati, da questioni giudiziarie personali e dalle spaccature interne al partito di maggioranza relativa,

non sarebbe meglio sospendere per un certo periodo la democrazia, cancellare tutti i turni elettorali ed affidare tutto ad un dittatore o magari un’ oligarchia illuminata, per mettere tutto “in ordine”?

Diciamocelo: la tentazione sara’ venuta a piu’ di qualcuno, soprattutto da quando i modelli autoritari asiatici, in primis Singapore, Cina – e, prima di loro Taiwan, Corea e Malesia – hanno dimostrato che e’ possibile raggiungere livelli di sviluppo economici comparabili ai “nostri” senza pero’ alcuna riforma politica e garantendo solo limitatissimi “diritti civili e politici” ai propri cittadini.

A tal proposito, circa 12 anni fa, un noto pensatore politico singaporeano, Kishore Mahbubani, scrisse un libercolo di 80 pagine che si intitolava “Can Asians Think?”. Il libretto era un inno, supportato da dati economici, al “modello asiatico” e un invito ai popoli asiatici a non guardare alle democrazie occidentali come unico modello, ma ad adottare politiche ‘pragmatiche’, cioe’ che ‘funzionano’, non condite da ideologie o dogmi inattaccabili. Il libro ebbe un’enorme influenza sui circoli intellettuali di paesi come Singapore, Cina e Malesia (che proprio in quel periodo incarcerava il leader dell’opposizione Anwar Ibrahim con accuse di omosessualita’…) ma fu accolto con freddezza negli ambienti occidentali che per anni hanno attaccato il cosidetto “modello asiatico” come un pretesto per mantenere regimi semi-dittatoriali in molti paesi del sud-est asiatico e un regime oligarchico-autoritario in Cina.

Ma questo, aime’, avveniva prima della crisi economica finanziaria del 2008-09. Con il perdurare delle difficolta’ economiche in Occidente e il recente caos nei paesi del Nord Africa dopo la caduta del dittatore di turno, l’idea che si possa guardare ed imparare dai modelli autoritari dell’estremo Oriente sembra riaffiorare. Alzi la mano chi non ha sentito qualcuno dire “forse e’ il nostro sistema che non funziona”.  D’altra parte non e’ la prima volta nella storia che l’Europa si ritrova ad idealizzare l’Oriente: lo ha fatto gia’ nel ‘500, per altri motivi pero’.

La tentazione e’ venuta anche a persone poco sospette, per esempio al noto giornalista Thomas Friedman che anni fa diceva (forse a ragione?) che l’unico modo per convertire l’economia americana in un’economia a bassa intensita’ energetica e basso inquinamento sarebbe stato sospendere per qualche anno l’abilita’ delle ‘lobby’ di influenzare le decisioni, dei cittadini di protestare per un’ impennata nei prezzi della benzina e della politica di rovinare tutto con il consueto “bipartisanism”. In altre parole, ci sarebbe voluta una dittatura illuminata per qualche anno.

E quante volte ci e’ capitato di pensare (e poi magari sentendosi quasi in colpa per aver fatto pensieri cosi’ ‘cattivi’) che il problema della criminalita’ nel sud Italia potrebbe essere risolto con un pugno di acciaio visto che finora la politica del bastone e della carota non ha funzionato. E l’augurio che si fa Beppe Grillo di vincere “il 100 pcento” alle prossime elezioni non e’ indirettamente l’augurio di annientare l’opposizione (che secondo lui non e’ degna di esistere in quanto composta tutta da ladri e fannulloni)?

E infine quante volte, nella mia costante opera di persuasione della indispensabilita’ di una federazione in Europa mi vengono opposti ragionamenti del tipo “siamo sicuri che l’obiettivo possa veramente essere raggiunto democraticamente”?

Dubbi, dubbi atroci passano per la mente di noi poveri occidentali in questi anni difficili: se la Cina e Singapore crescono al 7 o 8 percento, e noi dello 0.5 se siamo fortunati, forse e’ colpa della nostra democrazia? Se l’India, che ha adottato la nostra democrazia occidentale, e’ indietro di 20 anni rispetto alla Cina, forse e’ il modello che non funziona? Forse dobbiamo buttare a mare Rousseau, Montesquieu, Croce, Tocqueville e 200 anni di filosofia occcidentale e metterci a studiare Deng Xiaoping, Lee Kuan Yew o Kishore Mahbubani?

Forse la democrazia e’ una cosa che va bene soltanto finche’ tutti stanno bene economicamente, hanno un buon lavoro, non ci sono cambiamenti climatici e disastri ambientali in agguato e non ci sono debiti pubblici che minacciano di schiacciare lo stato?

O forse la colpa e’ della “partitocrazia”? Una parola strana, cui non sono mai riuscito a dare un significato vero. Si sa solo che e’ una cosa brutta, ma non si sa che cos’e’. Anche perche’, se si teme il potere dei partiti, allora Singapore, Cina e la Taiwan e la Korea di 20 anni fa sono modelli che vanno buttati a mare perche’ in questi paesi la compenetrazione tra strutture di governo e strutture di partito ha (o aveva) raggiunto la perfezione quasi assoluta. E che dire poi dei costi della politica in questi Paesi: il primo ministro singaporeano ha uno stipendio esentasse di 1.7 milioni di dollari americani. Sua moglie e’ CEO della seconda maggiore azienda del paese. Un deputato singaporeano qualsiasi prende 150,000 USD (sempre esentasse e senza contare rimborsi e vari altri benefit). In Cina poi non si sa nemmeno quanto prendano “effettivamente” i membri del governo, ma il fatto che un astro nascente del Politburo – poi caduto in disgrazia- potesse permettersi un figlio ad Harvard e una villa in Costa Azzurra, ci fa pensare che non siano proprio dei poveracci.

Ed ecco quindi che se si va a scavare, piano piano, se si superano quei roboanti dati “7 percento di crescita annua!”, “50 milioni di nuovi ricchi!”; se si va a rovistare negli articoli di giornale pubblicati da quei pochissimi (non piu’ di cinque o sei) giornali indipendenti in Cina, se si respira l’aria irresipirabile nelle citta’ prese d’assalto da masse di contadini senza diritto di abitarci; se si tiene conto del numero di scioperi (illegali) e di proteste per esproprio di terreni; se si vede a cosa anelano i giovani nei loro messaggi sul twitter cinese; e se si considera che il People’s Action Party singaporeano ha avuto un calo di consensi significativo alle ultime elezioni, ecco allora che si scoprono anche i lati negativi dell’autoritarismo.

E si scopre che, come mi disse un avvocato cinese specializzato in diritti umani e per questo sulla ‘lista nera’: “la democrazia non e’ condizione necessaria allo sviluppo economico, ma e’ la conseguenza inevitabile dello sviluppo economico. Che cosa succedera’ dopo che la democrazia non riesce piu’ a garantire il benessere economico, nessuno lo sa. Lo sta sperimentando l’Occidente, staremo a vedere”.

L’Occidente e l’Europa in particolare hanno questa responsabilita’ enorme: dimostrare che e’ possibile mantenere un livello accettabile di benessere economico per tutti, senza impedire al resto del mondo di svilupparsi e senza scivolare nell’autoritarismo o nella dittatura. Il problema e’: molti cittadini non lo hanno capito o non ne vogliono sapere, rivogliono il benessere, subito, da oggi. E accoglieranno trionfalmente chiunque glielo promettera’, mentendo spudoratamente.

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International lawyer, political campaigner, convinced liberal and eurofederalist

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8 comments on “Dobbiamo allora augurarci una dittatura?
  1. He, secondo me il problema sta nel capitalismo sfrenato…. ci vorrebbero regole per l’economia, regole che devono essere poi rispettate e accettate da tutti.

    Le nazioni autoritarie e i totalitarismi hanno questa grande ripresa economica perchè la loro economia è per la maggior parte incentrata sulla guerra (produzione di materiale bellico, ricerche sugli armamenti, ecc.) per esempio la germania nazista durante il suo riarmo a quasi azzerato la disoccupazione.

    Sì, sarei favorevole ad un’oligarchia illuminata, tipo quella dei resti dell’impero dell’ Expander Universe di Star Wars !

    (Ovviamente scherzo !)

    • Marco Marazzi ha detto:

      Ciao Massimiliano, sul primo punto siamo d’accordo. Si tratta di ostacolare in qualche modo il capitalismo finanziario sregolato, quello che fa soldi sul niente e di favorire e investire chi invece assume, produce beni o servizi reali e fa vera economia. Come osservo in un altro articolo sul mio sito, ci sono allarmanti notizie: si continua ad investire in derivati, sempre piu’ complessi, che solo pochi capiscono. Come impedire a chi ci fa profitti di influenzare la politica attraverso azioni di lobbying? Io un’idea ce l’avrei, ma e’ impopolare.

      • Come dice qualcuno il problema sono le Lobby di qualunque tipo esse siano….

        Che cosa proporresti per favorire la crescita economica italiana ed europea ?

        • marcopfe ha detto:

          Eh, Massimiliano, qui ci vorrebbe un trattato. Io e la nostra presidente Italia Stefania Schipani stiamo scrivendo un libro in proposito, coadiuvati da un team di esperti del think tank “Rifare l’Europa”. Li’ faremo qualche suggerimento. Comunque se posso avanzare qualche breve suggerimento qui con qualche slogan: “competitivita”, competitivita’, competitivita’” ! Se vuoi farti un’idea di come e perche’ l’abbiamo persa (non tutti, intendiamoci, perche’ tante aziende se la battono ancora benissimo) e perche’ ci siamo forse un po’ troppo “adagiati” sul modello del welfare, puoi cominciare a leggere l”Economia Europea di Padoan e Guerrieri.

  2. Renata Gravina ha detto:

    Se “quod populo placuit legis habet vigorem”.. si potrebbe giustificare anche la richiesta popolare di abolire una legittimazione democratica. Ma a ben vedere la radice dei mali della democrazia sta nell’iperillusione dell’elettore. La vera democrazia infatti prevede un rapporto diretto tra governo e popolo, questo rapporto è stato subappaltato dal lancio della democrazia partecipatoria o partecipativa che dagli anni Sessanta ha invaso anche la penisola italiana e che con a mezzo la folla e i referendum ha ritenuto di adempiere al ruolo che solo le piccole comunità possono soddisfare: dare ascolto a tutti.
    L’autoritarismo attuale nasce da una deformazione della democrazia partecipata che dando ascolto alle frange più aggressive della Società Civile e non avendo il supporto di istituzioni forti che vi si contrappongono, si autolegittima come vero. EJ Hobsbawm definisce il nostro guardare agli Stati Uniti come essere adepti dell’ imperialismo dei diritti umani. Il progetto americano, il sogno ipocrita di riuscire a eliminare tutte le ingiustizie o quantomeno farsi fautore di un tale processo è una bolla che ha coinvolto l’occidente più della speculazione finanziaria. Cosa conduce la politica alla dittatura allora? per M. Svolik il fatto che i dittatori plachino la massa impazzita (o fatta impazzire) e che risolvano le sfide delle élites con le quali un tempo regnavano. Se la mancanza di consenso popolare è il peccato originario delle dittature, l’iperottimismo forzato è quello delle democrazie. Un’ammissione di colpa può essere parte di una prima seduta riabilitativa.

    • Marco ha detto:

      Cara Renata, hai toccato secondo me un punto fondamentale che indirettamente ho fatto anche io in risposta ad alcuni commenti su Facebook. In democrazia, il politico che ha come proprio interesse esclusivamente la sopravvivenza politica deve continuamente promettere altrimenti non viene votato. Quindi, ingenera speranze e ottimismo (1 milione di nuovi posti di lavoro! Niente tasse per tutti ma assistenza sanitaria gratuita! Crescita al 3%! Apriamo 3 nuovi ospedali) che poi vengono invariabilmente deluse per questioni oggettive. Nei sistemi autoritari, i politici “illuminati” possono permettersi di pensare nel medio-lungo termine perchè sanno che non devono fronteggiare le urne, e quindi se veramente illuminati e capaci possono prendere e mettere in atto decisioni che beneficiano il paese nel medio-lungo termine. Sanno solo che non devono tirare troppo la corda, altrimenti provocano una rivoluzione di solito violenta. Questo è un vantaggio enorme.

  3. Giorgio Nicoletti ha detto:

    Mi soffermo sul significato delle parole “benessere economico” del paragrafo di chiusura; siamo sicuri che ciò di cui pensiamo di aver bisogno per Vivere bene sia di fatto ciò che necessitiamo per Stare bene? Io credo che col passare del tempo abbiamo soggettivato un concetto che sarebbe dovuto rimanere oggettivo, evitando quindi che la vita diventi un rincorrersi continuo. Dal punto di vista Occidentale, dove è possibile osservare una società capitanata dal consumismo e dalla pubblicità commerciale, il concetto di benessere economico è spesso inteso come avere la possibilità di cambiare macchina ogni 4 anni tramite formule di leasing sovente contenenti promesse di frode; avere contratti telefonici che ti permettono presumibilmente di non pagare lo smartphone di ultima generazione in dotazione a patto che si consumi un determinato numero di traffico telefonico, ma che al momento del furto o dello smarrimento del dispositivo si è obbligati da contratto a pagare per ciò di cui non si dispone più; attivare un mutuo per la casa di proprietà, con tassi di interesse che portano a ripagare alle banche il doppio di quanto effettivamente aver preso in prestito; viaggiare, partecipare a corsi o seminari e partecipare a migliorare la società civile non li faccio volutamente rientrare nel concetto di benessere economico comunemente inteso, poichè solo per una minoranza della popolazione essi costituiscono parte del benessere economico. In cosa consista il ruolo dello Stato negli esempi sopracitati mi appare poco chiaro, mi sembra anzi che le leggi sulle quali sono basate queste attività commerciali dal mio punto di vista illecite esprimano con franchezza: dai loro quello che vogliono,tutto e subito; ai particolari pensateci voi. Se questo è il limite della democrazia così come intesa al giorno d’oggi, credo ci sia bisogno di fare qualche passo indietro e ammettere di non aver capito nulla. Ad una oligarghia illuminata preferirei di gran lunga una democrazia illuminata, dove Stato e Società giocano un ruolo cardine nell’educazione del pubblico. Ma anche quando Bush senior ammetteva che non c’è motivo di educare il pubblico nell’assenza di una potenziale minaccia, mi convico sempre più che l’Occidente (mi riferisco al Far West per noi Europei) è davvero senza speranza, umanamente parlando.

    • marcopfe ha detto:

      Caro Giorgio, certo il discorso su che cosa significhi effettivamente ‘benessere economico’ e’ molto interessante. Come sai Jeffrey Sachs sta cercando di creare un altro indice di misurazione del benessere di un paese che vada oltre il semplice PIL o PIL pro-capite. Anche Sarkozy parlava di un Happiness Index o simili. Tutto questo discorso dai paesi in via di sviluppo viene visto con un misto di sospetto e divertimento: ma come, ci dicono, proprio voi che ci avete considerato “secondo” o “terzo” mondo, che avete creato G7 G8 e adesso G20 proprio sulla base delle dimensioni dell’economia, adesso che siete un po’ in declino (declino relativo, perche’ un europeo medio sta ancora molto meglio di un indiano o nigeriano medio), ci venite a dire che dobbiamo usare una misura diversa di benessere. Secondo me hanno ragione tutti e due i campi: la crescita del PIL di per se indica che l’economia si espande, poi puo’ essere crescita qualitativamente bassa (come e’ il caso della Cina per esempio) o crescita qualitativamente alta. Ma un’economia il cui PIL cala continuamente si contrae, perde colpi. In un certo senso e’ fisiologico, non si puo’ pensare di crescere sempre al 5 o 6 o 7 percento. Anche la Cina si trovera’ a fronteggiare i problemi che fronteggiamo adesso noi, ma ci vorra’ ancora qualche decennio. E intanto noi che facciamo? Arretriamo? Adottiamo una “decrescita felice”? Un minimo di crescita economica bisognera’pur mantenerlo, un 1.5%, 2%. almeno.

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