Risposta a Giovanni Sartori

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Con il suo editoriale del 3 dicembre sul Corriere “Intrappolati in un Girotondo”, Giovanni Sartori si esprime di nuovo in modo critico verso quel mondo federalista che sogna un’Europa organizzata su basi diverse da quelle attuali. Dire però che una federazione non funziona senza una lingua comune non è esatto. Basti pensare a vari esempi: il Canada (con la parte francofona e anglofona), l’India (che ha molte lingue ufficiali a livello federale e statale, incluso l’inglese), la stessa Svizzera citata da Sartori. Il problema non è parlare lingue diverse, ma avere una lingua “veicolare” che consente di comunicare gli uni con gli altri. Questa lingua, almeno per le nuove generazioni che hanno studiato dagli anni ‘90 in poi e che erediteranno l’Europa, è già di fatto l’inglese. Inoltre, una struttura federale, proprio perché non costringe le proprie componenti a essere uniformi o adottare un unico modello riesce meglio nell’intento coagulante di realtà non completamente uguali. Per avere una federazione però è indispensabile avere interessi (e problemi) economici, politici e strategici comuni. E’ proprio Sartori a evidenziare alcuni di questi nel suo articolo:

La liberalizzazione del commercio e degli investimenti, che ci ha toccato tutti e che richiede una risposta comune. Di essa però Sartori descrive solo gli aspetti negativi dimenticando quelli positivi: la riduzione della povertà in aree del mondo come la Cina (ma non solo), senza la quale invece di 200,000 cinesi in Italia ne avremmo forse qualche milione e le opportunità offerte alle aziende italiane di produrre ed esportare beni in nuovi mercati che prima erano o troppo poveri per comprare i nostri prodotti o imponevano dazi altissimi. Piuttosto, un’Europa più unita e con una direzione in tema di politica commerciale ed estera univoca potrebbe imporre più rigorosamente quella “reciprocità” che spesso manca nei rapporti commerciali e d’investimenti con gli altri grandi blocchi.

L’immigrazione: quale materia si presta di più a un approccio coordinato all’interno della UE? E come avere un approccio unico senza una politica dell’immigrazione e regole sui visti e la cittadinanza comuni, senza una polizia di frontiera comune che tratti i confini meridionali e orientali dell’Europa come confini di tutti

Infine, la disoccupazione: è possibile immaginare che questo problema possa essere risolto, come suggerisce Sartori, demandando alla BCE (?) il potere di autorizzare barriere all’importazione di prodotti da paesi emergenti per proteggere le industrie europee? Tralasciando la compatibilità con il WTO e le possibili ritorsioni verso i nostri stessi prodotti (già sento le aziende esportatrici levare proteste), che c’entra poi questo discorso con la struttura federale? Perché dovrebbero essere incompatibili? Ma Sartori va ben oltre e propone anche che la BCE (e non si capisce perché una banca centrale dovrebbe avere questo potere) decida anche il livello di protezione di ciascuno stato membro della UE, da intendersi quindi anche come protezione nei confronti delle merci di un altro stato UE. Ma, poiché siamo già in una unione doganale da qualche tempo, che è quello che Sartori propone, questo non è possibile perché sarebbe la negazione stessa della unione e del mercato comune.

Partito Federalista Europeo

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International lawyer, political campaigner, convinced liberal and eurofederalist

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