In un articolo di Galli della Loggia oggi sul Corriere si spiega perché i paesi europei non mediterranei sembrano indifferenti alla tragedia degli sbarchi e dei naufragi di immigrati irregolari e sembrano voler lasciare a paesi come la Spagna, Italia e Grecia l’intera responsabilità di gestire questo problema.
Secondo Galli della Loggia l’indifferenza è dovuta al fatto che alcuni paesi “nordici” sono alle prese con movimenti politici fortemente xenofobi e anti-immigrati. E’ quindi difficile per i governi di questi paesi iniziare ogni discussione su eventuali “quote” di ripartizione degli immigrati con i paesi mediterranei, se vogliono evitare una crescita del malcontento.
Nel libro “Breve Dizionario di Politica Europea” cerchiamo di spiegare il problema e offrire una possibile soluzione partendo intanto dai FATTI.
In primis, va osservato che tra i paesi membri UE il Regno Unito ha tradizionalmente accolto il numero più alto di immigrati, seguito dalla Germania, la Spagna e in quarta posizione l’Italia. Nel 2012, in Germania vivevano e lavoravano quasi 8 milioni di persone nate in un altro paese. In Italia quasi 5. In base a dati del 2012, su un totale di circa 8 milioni di cittadini extracomunitari nei paesi UE, più della metà proveniva da Turchia, Albania e Ucraina, e gli altri, nell’ordine, da Africa (soprattutto Marocco e Algeria), Asia, Sud America e Oceania.
Poi, va ricordato che in base ai Trattati, la UE non ha alcuna competenza, né esclusiva né concorrente, in tema di immigrazione. Negli ultimi dieci anni, comunque, gli Stati membri hanno fatto qualche passo avanti nel coordinamento della politica di immigrazione: nel 2004, per esempio, è stata creata Frontex, un’agenzia i cui compiti includono il “coordinamento della cooperazione attiva tra gli Stati membri in materia di gestione e controllo delle frontiere esterne”, l’assistenza agli Stati membri nella formazione delle guardie in servizio presso le frontiere esterne e l’assistenza nei controlli, pattugliamenti e vigilanza delle frontiere esterne della UE. Frontex può anche mettere a disposizione gruppi di intervento rapido negli Stati membri, ma solo su richiesta degli stati membri e per un periodo limitato in caso di urgenza. Sebbene abbia condotto non poche missioni di pattugliamento in vari “punti caldi”, Frontex non è una polizia di frontiera europea, ma solo un ente che coordina l’attività delle varie polizie degli Stati membri. Esso mette a disposizione degli Stati le proprie risorse solo se richiesto espressamente dagli stessi. Se dal lato “enforcement” Frontex costituisce l’esempio principale di collaborazione intraeuropea in materia di immigrazione, dal lato “policy” e strategia invece ogni paese membro segue essenzialmente la propria rotta, o quasi. Il coordinamento manca specialmente quando si affronta la categoria di immigrati costituita dagli irregolari, ovvero extracomunitari entrati senza visto o cittadini stranieri rimasti illegalmente in Europa dopo la scadenza del visto o del titolo di soggiorno.
Da una parte, l’imperativo morale di accogliere chi si presenta stanco, lacero e affamato alle nostre frontiere ci impedisce di adottare quelle misure drastiche che altri paesi, per esempio in Asia e Medio Oriente, adottano contro gli immigrati irregolari (in alcuni paesi del Sud-Est asiatico infatti l’immigrato irregolare, una volta arrestato, può essere soggetto anche a punizioni corporali dolorose e umilianti e rimpatriato forzosamente). Dall’altro lato, adottare atteggiamenti buonisti e dire semplicemente che bisogna “accoglierli tutti” non tiene conto che il fianco Sud dell’Europa si trova già sotto pressione da tempo, vista la situazione economica e politica di molti paesi limitrofi. Una pressione che probabilmente è superiore a quella che il Centro America esercita sul fianco Sud degli USA, paese che ha potenzialità di accoglienza molto maggiori rispetto a molti paesi europei.
“Accoglierli tutti” potrebbe alterare le nostre strutture sociali in maniera intollerabile per una buona parte della popolazione. In tal caso, gli aspetti negativi di un’immigrazione incontrollata sull’economia di una società supererebbero quelli positivi, in termini per esempio di contributo alla crescita del PIL, che pure molti economisti hanno evidenziato da tempo.
Dal lato “enforcement”, bisogna lavorare verso la creazione di una polizia di frontiera europea unica, che superi il mandato limitato di Frontex e che porti ad un aumento delle risorse disponibili per il monitoraggio soprattutto del “fianco Sud” dell’Europa, alleviando la pressione su paesi come Italia, Spagna e Grecia. Dal lato strategico invece, i paesi membri UE dovrebbero sedersi intorno ad un tavolo e decidere il numero di immigrati che può realisticamente essere accolto e regolarizzato ogni anno, sulla base di quote che poi vengono gestite da un organismo indipendente, e adottare quindi risposte politiche avendo in mente questo obiettivo. I criteri e i tempi adottati per la regolarizzazione degli immigrati andrebbero a questo punto uniformati all’interno del territorio UE. Il compito non è facile anche perché alcuni Stati fanno resistenza a cedere anche un millimetro dei propri poteri in materia di immigrazione ad un’entità loro sovraordinata. Eppure, se Spagna, Italia e Grecia facessero fronte comune, non sarebbe impossibile far accettare ai paesi membri più “nordici” che in fin dei conti siamo tutti nella stessa barca (ancora galleggiante) e che il problema non si risolverà mai volgendo lo sguardo altrove. E che prima o poi il “demone” dei partiti xenofobi va affrontato, ridimensionato e col tempo sconfitto. Con coraggio.
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