Armonizzazione fiscale: una direzione auspicabile

“Con il termine ‘armonizzazione fiscale’ si intende un processo attraverso il quale il livello di tassazione tra gli Stati membri della UE tende a convergere o perlomeno a raggiungere livelli comparabili.  Esso si differenzia dal concetto di ‘concorrenza fiscale’, ossia un sistema attraverso il quale ogni Stato membro è libero di adottare politiche fiscali diverse al fine, per esempio, di creare un clima più favorevole alle aziende o agli individui residenti.

Anche se esiste un Commissario per la fiscalità e le dogane, la materia fiscale non è né materia esclusiva né materia concorrente della UE. Tuttavia, la UE ha incoraggiato politiche di coordinamento tra gli Stati membri  su vari aspetti: per esempio in materia di tassazione diretta (che comprende imposte sui redditi delle imprese e delle persone fisiche), questa resta di competenza degli Stati membri, i quali però hanno adottato misure per evitare l’assoggettamento di tali redditi ad una doppia imposizione in due o più Stati membri e per garantire lo scambio di informazioni.

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(Autore della foto è JT)

La tassazione indiretta invece, in particolare il regime dell’IVA, è stato oggetto di vari interventi nel corso degli anni al fine di evitare distorsioni all’interno del mercato unico e facilitare  le operazioni intra UE. Senza entrare nei dettagli, le varie direttive UE in materia di IVA hanno portato alla creazione di uno ‘spazio IVA europeo’ in cui i beni vengono considerati importati o esportati ai fini del calcolo dell’IVA solo quando lasciano questo spazio in cui sono state adottate regole armonizzate. Una parte dell’IVA pagata agli Stati membri viene poi trasferita alla UE come parte delle risorse ‘proprie’ di bilancio (gli Stati membri tuttavia hanno il potere di fissare le aliquote IVA applicabili alla vendita di beni e servizi sul territorio).  La UE è anche intervenuta in tema di tassazione del risparmio con la nota Savings Directive del 2003 che regola lo scambio di informazioni tra i vari paesi in merito al reddito da interessi derivante ai cittadini  di uno Stato membro da una fonte in un altro Stato membro.”

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“Distinguere la concorrenza fiscale ‘buona’ da quella ‘cattiva’ all’interno della UE può essere arduo e può anche aprire un vaso di Pandora di recriminazioni reciproche tra Stati membri.  L’OCSE, dal lato suo, negli anni scorsi ha dedicato una task force al problema e prodotto un considerevole numero di rapporti e di raccomandazioni che additano le pratiche più deleterie, come quelle adottate da quei paradisi fiscali che offrono vantaggi ad aziende operanti interamente al di fuori dei paradisi stessi.  Dal 2009 in poi, anno in cui il G-20 ha dichiarato ‘guerra totale’ alle pratiche scorrette di alcuni paesi, l’OCSE ha prodotto varie liste ‘nere’ e ‘grigie’ in cui erano finiti anche alcuni paesi UE come l’Austria, il Belgio e il Lussemburgo.  L’aggiornamento più recente delle due liste però non vede menzionato alcun paese UE.  Quei paesi UE, come l’Irlanda, che adottano un regime fiscale preferenziale rispetto ad altri ci tengono a sottolineare anche che tale regime non è l’unica attrattiva e a ricordare gli altri vantaggi che offrono, quali per esempio un quadro regolamentare molto sofisticato per il settore e-commerce, motivo per cui i giganti del web spesso hanno deciso di collocare i loro headquarters europei nel paese.

Vista l’attuale struttura della UE, è oggettivamente difficile per gli Stati membri cedere il potere di decidere il livello d’imposizione fiscale, per vari motivi. Primo, soprattutto se si prende l’UE a 28, ci sono differenze rilevanti tra gli Stati membri non solo in tema di rapporto tasse-PIL ma anche in tema di tassazione del lavoro, dei consumi e dei capitali, che riflettono preferenze diverse. Secondo, gli Stati membri continuano ad essere responsabili per la quasi totalità della spesa per il welfare, per le infrastrutture, e per l’educazione (il bilancio UE infatti ha delle entrate molto limitate: v. Bilancio); di conseguenza, gli Stati membri vogliono essere in grado di poter decidere come finanziare la spesa: la possibilità di agire a piacimento sulla leva tributaria diventa quindi fondamentale, soprattutto per i paesi dell’Eurozona che hanno vincoli di indebitamento. Non è un caso che la materia fiscale resti ancora tra quelle per cui ogni cambiamento deve essere votato all’unanimità dal Consiglio UE, dove siedono i rappresentanti degli Stati membri.

Quando si parla di armonizzazione fiscale quindi bisogna prima chiedersi se sia desiderabile.  E poi chiedersi come arrivarci. Alla prima domanda, la nostra risposta è ‘dipende dal fine che si persegue’. Se il fine è privare uno Stato membro della possibilità di decidere quanto tassare i redditi delle imprese e degli individui residenti, la risposta è ‘no’.  Se l’obiettivo invece è quello di adottare delle norme il più possibile simili, riducendo l’estrema frammentazione del panorama fiscale e rendendo quindi più facile la vita, riducendo oneri amministrativi, per le aziende che operano a livello transfrontaliero, allora la risposta è ‘sì’.”

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Estratti dal libro “Breve Dizionario di Politica Europea” di Stefania Schipani e Marco Marazzi.  Venerdì 23 gennaio verrà presentato ad Ancona in occasione dell’apertura della sezione locale del Partito Federalista Europeo.

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International lawyer, political campaigner, convinced liberal and eurofederalist

Pubblicato su Breve Dizionario, Events, Ri Fare l'Europa

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