Ogni tanto mi capita di andare a Brussels e non perdo mai l’occasione di visitare amici che lavorano in Commissione o al Parlamento Europeo o che comunque vivono vicino a questi ambienti. Ovviamente non perdo occasione anche per un pranzo o una cena con i dirigenti PFE della sezione belga e del federale.
Da Brussels torno sempre con un misto di eccitazione, ma anche di angoscia e preoccupazione.
Eccitazione perchè sono ormai sicuro che Brussels sia la capitale degna dell’Europa. Basta passare qualche ora nel nuovo edificio del Parlamento e nei corridoi della Commissione per rendersene conto. Una babele di lingue parlate nei corridoi, molti giovani, l’inglese che si afferma sempre più come lingua franca, anche al di fuori di questi palazzi. Poi, la classica coorte di rappresentanti di categorie, di associazioni, di aziende, in attesa di incontrare il parlamentare o il funzionario di turno. “Lobbisti” li chiamerebbe qualcuno, ma io non ci ho mai trovato nulla di strano: esistono dappertutto ed hanno una loro funzione che a volte puo’ essere anche quella di portare avanti battaglie giuste.
L’altro ieri per esempio ho partecipato ad una riunione con un deputato, ex-commissario, per discutere la possibilità di riattivare il processo di revisione dei Trattati. C’erano con me varie associazioni e movimenti federalisti e anche un rappresentante di Democracy International: siamo stati anche noi, quindi, per un giorno, dei lobbisti.
Insomma,Brussels assomiglia sempre piu’ a Washington (meno la Casa Bianca e questo è un altro problema, per ora irrisolvibile) o a Canberra. E non posso che esserne felice.
Allo stesso tempo però sono fortemente preoccupato. Preoccupato che, mentre a Washington e a Canberra vengono decise cose importanti per lo stato federale di cui sono capitali e rilevanti per il resto del mondo, a Brussels c’è un forte sentimento di impotenza. E anche quello di sentirsi incompresi e sotto attacco da parte di tutti per colpe non proprie: sotto attacco dalle orde barbariche di populisti sfegatati che sono stati eletti in Parlamento e che non hanno idea di come l’Unione funzioni, ma anche sotto attacco dagli stati membri. Questo genera, come naturale, un atteggiamento difensivo che tende a creare una “bolla”. Ecco, questa impressione che si ha a volte che Brussels sia ormai una “bolla”, o una sorta di fortino trincerato che non capisce i problemi del cittadino europeo di Malaga, di Montpellier o di Crotone, deriva – credetemi – non dalla mancata volontà di comprendere da parte di chi vive nella bolla, ma dall’impotenza cui gli stati nazionali hanno condannato Brussels.
Impotenza perché il Parlamento, che dovrebbe rappresentare 500 milioni di cittadini, nonostante le recenti riforme ha meno poteri del Parlamento del Camerun, senza offesa per il Camerun, per non parlare di poteri del Congresso americano. La Commissione inoltre, che tanto fa paura, alla fine viene guidata dai desiderata del Consiglio, anzi dei due Consigli (quello Europeo e quello della UE), dove i “leader” degli stati la fanno ancora da padrone.
Quanti conoscono il vice di Jean Claude Juncker? Quanti conoscono il commissario Avramopoulos che dovrebbe risolvere problemi enormi come l’immigrazione illegale, la protezione delle frontiere dell’UE, le catastrofi nel Mediterraneo? O Cecilia Maelstrom da cui dipendono gli importantissimi negoziati su i trattati commerciali? Tutti pero’ conoscono la Merkel, Hollande, Rajoy e ovviamente Renzi. Addirittura Tsipras che rappresenta 9 milioni di votanti (meno del 2 percento della popolazione UE) è più noto dei nostri rappresentanti a Brussels.
Andate poi nei corridoi del Congresso americano e sentirete parlare quasi esclusivamente di come possono essere spesi i fondi federali: bisogna aumentare la spesa per la difesa? Quella per le guardie di frontiera? Dove dobbiamo aprire la prossima ambasciata? Come rispondere alla minaccia dell’ISIS (che poi, toh, riguarda più noi europei che gli americani)? La riforma sanitaria è giusta? Dobbiamo aumentare le imposte o ridurle? Dobbiamo salvare le banche? Tutti questi problemi, anche se discussi nei corridoi del Parlamento Europeo, lo possono essere solo in linea “teorica”, perché il Parlamento puo’ fare poco o nulla. Non puo’ decidere se aumentare le imposte federali o ridurle, perche’ non esistono. Non ha un esercito, perché ce ne sono 28, di cui solo 3 o 4 utili, che appartengono agli stati. Non può decidere se salvare le banche perché non avrebbe nemmeno un millesimo dei fondi per farlo. Etc etc.
Non si riesce nemmeno ad adottare una legge elettorale uguale per l’elezione dei deputati al Parlamento Europeo. Ogni stato membro ha la sua, con vari requisiti: chi chiede 150,000 firme, chi zero, chi mette lo sbarramento al 3, chi al 5, chi a zero. E ogni tentativo di armonizzare viene bloccato, di nuovo, dal “Consiglio” come abbiamo appreso l’altroieri. E di liste transazionali non se ne parla. Figurati se il partito tal dei tali vuole privarsi della possibilità di piazzare al Parlamento Europeo un suo fedele peone che non parla una lingua straniera e non ha mai vissuto fuori dai confini della sua regione e vuole mettere a rischio l’elezione di questo genio perché nella lista si infila un cittadino francese o tedesco o olandese più capace. Si arriva anche all’assurdo per cui i medici di stanza al Parlamento Europeo per curare le emergenze vengono decisi in parte con criteri nazionali (tot alla Spagna, tot all’Italia, etc.).
Nei corridoi della Commissione, ovviamente, si sente parlare di cose più concrete, perché la Commissione qualche potere ce l’ha, in materia di commercio estero, per esempio, di mercato unico e di concorrenza. Ma questi poteri, esercitati spesso con determinazione danno origine a quelle leggende utilizzate dagli “euroscettici” per ridicolizzare l’UE: la Commissione impone la misura delle vongole, la Commissione mi dice come devo fare il cioccolato, la mozzarella, cosa posso e non posso fare quando produco un determinato bene. Tutte leggende o mezze verità. E tutti dimenticano l’azione della Commisssione nella tutela dei consumatori (senza la quale in Italia avremmo ancora leggi inadequate), la tutela della privacy, gli incessanti tentativi di spuntare condizioni migliori nei negoziati commerciali con altri giganti come la Cina, gli USA, l’India. Tutto questo passa inosservato, non fa notizia. E gli stati godono nel gettare sulla Commissione e su “Brussels” tutte le colpe anche quando sono loro i colpevoli.
Tutto quanto sopra genera quel sentimento di essere sotto attacco e contribuisce ad aumentare invece che a ridurre la distanza tra quelle che vengono definite “elites” e i cittadini europei. Chiunque non abbia i paraocchi dovrebbe riconoscere che la qualità e la preparazione dei funzionari che lavorano a Brussels, soprattutto in Commissione, eccede quella delle loro controparti in qualsiasi paese eccetto probabilmente la Francia con la sua ENA. Ovviamente, il problema delle “quote paese” (un’altra assurdità) puo’ creare anche situazioni in cui ci si ritrovi persone non estremamente qualificate in una certa posizione, ma l’esame da sostenere per accedervi non è dei più facili, state tranquilli.
Questa comunità poi, tende a mescolarsi, ad intessere rapporti, la loro posizione e le informazioni a loro disposizione gli permettono di rendersi conto delle sfide che si presentano all’Europa. Ci si sente, alla fine, europei più del funzionario che siede a Malaga, Crotone o Montpellier. Questi “europei” dovrebbero essere le persone più adatte per pensare a risolvere problemi “macro” , lasciando ai funzionari statali e regionali i problemi “micro”. E invece sono condannati ad occuparsi, addirittura in concorrenza con gli stati membri, del “micro”, ad essere accusati di non fare nulla per il “macro” e ad essere odiati per cose di cui non hanno alcuna responsabilità. Ecco da dove deriva l’angoscia che provo e il sentimento che potrebbe saltare tutto da un momento all’altro. E che non dobbiamo permetterlo, ad ogni costo, ma dobbiamo piuttosto impegnarci per trasformare e migliorare.
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